IMPIANTI DI SUPERFICIE O TRANSMUCOSI, consistono essenzialmente in piccoli bottoni bisegmentali con una superficie convessa che va ad ancorarsi in una base protesica acrilica e in una superficie concava o piatta che va ad ancorarsi al di sotto del piano mucoso. La tecnica è di semplicissima esecuzione anche se potenzialmente pericolosa a causa dei microtraumi gengivali continui a cui il bottone intramucoso può portare il tessuto gengivale. IMPLANTOLOOIA DI PROFONDITÀ Si identifica essenzialmente con l’implantologia endossea e utilizza sia supporti di tipo cilindrico che supporti di tipo laminare. Qualunque sia il supporto utilizzato, tutte le fasi di implantologia endossea consistono di alcuni momenti costantemente rappresentati. È cioè: 1) l’incisione del piano mucoso; 2) l’esposizione del piano osseo; 3) la creazione di un alveolo chirurgico mediante fresaggio; 4) l’inserimento del supporto impiantare; 5) la sutura delle dieresi chirurgiche. Ovviamente ogni singola tecnica utilizzerà strumentario finalizzato e peculiare per l’impianto selezionato. Ma i principi fondamentali si ripetono costantemente e uniformemente. Essi possono essere così riassunti: 1) incisioni lineari il meno sfrangiate possibili per consentire le guarigioni più rapide ed ottimali; 2) scollamenti del piano periosteo il più limitati possibili per consentire di sfruttare a pieno il potenziale osteo-genetico riparativo del periosteo; 3) creazioni di alloggiamentì chirurgici assolutamente congrui rispetto al supporto impiantare per evitare la formazione di qualunque spazio anatomico in plus che potrebbe dar luogo a interposizione di tessuto fibroso nell’interfaccia osteoimpiantare; 4) chiusura ermetica delle dieresi chirurgiche per ridurre al minimo ogni possibilità di contaminazione del campo operatorio da parte di germi saprofiti e non del cavo orale; 5) immersione totale o parziale, laddove è possibile, del supporto impiantare per consentire il sereno svolgersi di tutte le fasi di neo-osteogenesi tessutale al di fuori dì ogni eventuale trauma masticatorio e non.
L’IMPLANTOLOGIA DI TRANSFISSIONE Si identifica essenzialmente con le tecniche di transfissione trans-radicolare o trans-alveolare. Le tecniche di transfissione transradicolare utilizzano perni a ritenzione verticale indicati quasi esclusivamente nella fissazione di elementi parondontali con mobilità elevata. La tecnica consiste nella perforazione dell’apice radicolare e nella infibulazione dello stesso con un perno in titanio o bioceramica (fig. 14) che vada a conficcarsi nel contesto osseo per almeno un terzo dell’altezza della corrispondente altezza radicolare. A nostro giudizio l’utilizzazione di questa tecnica va riservata a casi estremamente limitati. Infatti, le lesioni parodontali sono solitamente presenti in gravità talmente elevata da indicare, laddove è impossibile, una connessione con la chirurgia parodontale piuttosto che l’infibulazione dell’elemento dentale, la sua estrazione e sostituzione con impianto endosseo immediato. La transfissione bicorticale, invece, è riservata alla tecnica proposta dal dottor G. Russo che utilizza delle barre di transfissione opportunamente calibrate ad ancoraggio immediato e definitivo sia di supporti laminari endossei che di impianti sotto-periostei parziali e totali. Si tratta di una metodica assolutamente vantaggiosa sotto il profilo della stabilità immediata dell’impianto anche se tecnicamente indaginosa e richiedente precise manualità operatorie. L’implantologia di estensione invece si identifica nell’esecuzione di impianti sotto periostei. Questi impianti vengono anche definiti bifasici poiché la tecnica chirurgica si articola in due momenti principali e cioè un primo momento relativo all’esposizione chirurgica della base ossea e al rilevamento dell’impronta della sua superficie e un secondo momento relativo all’inserzione del manufatto impiantare opportunamente fuso su modello ricavato da questa impronta. A causa della sua bifasicità l’implantologia sotto-periostea non ha mai trovato, e non trova tuttora, un grande riscontro tra gli implantologi, anche se a nostro parere meriterebbe di ottenere una più larga considerazione. Essa, infatti, consente pur a prezzo di un doppio intervento chirurgico, di poter riabilitare delle selle edentule altrimenti intrattabili da un punto di vista implantologico, e quindi consentire ancoraggi distali assolutamente inimmaginabili nei gravi casi di atrofie ossee mandibolari o mascellari. Per visualizzare questo concetto, basti pensare all’impianto a tripode presentato dal professor Linkow (50, 92) proprio per la risoluzione dei gravi casi di atrofie mandibolari. Unica alternativa possibile per questi casi, spesso associati a deiscienza del nervo alveolare e a notevole abbassamento dei fornici vestibolari, sarebbe sottoporre il paziente a lunghi e cruenti interventi di ricostruzione dell’osso con innesti di cresta iliaca o di costa. L’impianto a tripode invece, come si vede in figura n° 15, consente la creazione di tre supporti sotto-periostei parziali, uno sinfisario sinfisario mediano, e due distali retro- molari, sui quali far appoggiare una barra di fissazione e una successiva protesi. Tutta la riabilitazione implanto-protesica viene così a essere articolata in un’endostruttura, sotto-periostea, in una mesostruttura (la barra di fissazione) e in una meso-struttura, l’articolato dentario. All’interno di queste principali modalità tecniche ch inserzione è possibile articolare un po’ tutta la pratica implantologica e ottenere una soluzione chirurgica stabile nel tempo, funzionalmente valida ed esteticamente accettabile, sia dal paziente che dal medico, in molti casi altrimenti intrattabili con le metodiche tradizionali. POSSIBILITÀ DI RICOSTRUZIONE PROTESICA SUGLI IMPIANTI Possiamo raggruppare le modalità di ricostruzione protesica su impianti in tre diverse modalità: una prima modalità di tipo mobile; una seconda modalità di tipo misto e una terza modalità di tipo fisso (1, 3, 4, 7, 17, 21, 30, 31). […..] |